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sabato 19 dicembre 2009

Bari - LUCIO DALLA INAUGURA 'LE VOCI DELL’ANIMA'


“Le voci dell’anima” fra Oriente e Occidente è una rassegna musicale che sembra partorita dalle riflessioni del sociologo barese Franco Cassano, riportate nel suo best-seller “Il pensiero meridiano”.

Due mondi per tradizione apparentemente antitetici, quello musulmano d’Oriente, e quello cristiano d’Occidente, possono dialogare, aprendosi alla cultura, all’arte, per arrivare a un dialogo fra le anime. E quando parliamo di arte non possiamo che fare riferimento alla musica, che ne è la forma più immediata.

“Le voci dell’anima” giunge alla VI edizione e come tutti gli anni si svolge nel periodo che precede il Natale. Tutti i concerti, che coinvolgono artisti europei e orientali, si tengono nelle chiese di Bari, uno per Circoscrizione. Quest’anno l’inaugurazione è toccata a Lucio Dalla il 9 dicembre nella Chiesa della Natività di Nostro Signore ad Enziteto.

Tranquillamente possiamo parlare di evento, al di là della popolarità del cantautore. Lucio Dalla è stato ispirato da “Francesco – canto di una creatura”, opera di Alda Merini, una delle più grandi voci poetiche del ‘900 scomparsa lo scorso 1° novembre. Lucio ha composto le musiche, le ha affidate al maestro Beppe D’Onghia per gli arrangiamenti e le ha eseguite per la prima volta il 25 ottobre del 2008 nella Basilica Superiore di Assisi, avvalendosi dello stesso D’Onghia al pianoforte, del Nu-Ork String Quintet (due violini, viola, violoncello e contrabbasso), di Marco Alemanno, giovane attore salentino (voce recitante), del coro Kitaredium Ensemble; lui si è limitato a suonare il clarino. A parte il coro (però c’erano le basi) a Bari erano tutti in scena.

Non è la prima volta che un’opera poetica ispira la musica. D’altro canto non dimentichiamo che la poesia stessa è musicalità della parola trasfusa in versi e strofe. Ma la forza di tutta la produzione sta nella statura umana e spirituale di Francesco d’ Assisi, una figura che ha sempre affascinato il mondo laico e quello del clero, per la follia della sua scelta di povertà, per la grazia della sua semplicità: il fine dell’uomo non è il bene materiale, ma l’uomo stesso. Francesco ci aiuta così a trovare il senso della nostra natura umana conciliandola con quella divina. Per questo motivo è facile comprendere come una personalità come la sua sia entrata a pieno titolo nella letteratura, ispirando scrittori e poeti. Alda Merini ne è rimasta affascinata e gli ha dedicato i suoi preziosissimi versi, definendolo “giullare di Dio”, “apostolo di sogni”, “contadino di fede”, ed esaltando fin dall’inizio la sua vocazione alla povertà: “…l’amore della povera gente/brilla più di qualsiasi filosofia/Un povero ti da tanto/e non ti rinfaccia mai la tua vigliaccheria.”

Lucio Dalla ha conosciuto Alda Merini e ne ha apprezzato le doti umane e artistiche: “Alda aveva una grande profondità e conoscenza dell’Altissimo; – ha detto – Dio o qualsiasi cosa sia Dio, viveva dentro di lei.”


Con questi presupposti, con questa fonte di ispirazione, si può almeno intuire cosa la creatività musicale di Lucio sia stata in grado di concepire: una musica lontana dalla sua consueta produzione di cantautore, con tutti i crismi della musica sinfonica per quanto riguarda il lato esecutivo (piano, archi e fiati).

Si può definire musica sacra, di taglio moderno? Forse sì, ma è comunque difficile azzardare una definizione precisa. Siamo sul crinale del sacro e del laico (profano no!). E allora lasciamo la definizione alle interpretazioni personali rimanendo a ragione nell’ambito della spiritualità.

Di fatto le note e i versi, recitati con passione e intensità da Marco Alemanno, hanno formato un unicum di totale, profonda suggestione: la composizione musicale e quella poetica sono di una tale coerenza, che sembra impossibile separarle e immaginarle dotate di vita propria. E’ l’incontro in sintonia di due personalità artistiche di grande spessore. Sull’esecuzione c’è il marchio qualitativo del maestro concertatore, quel Beppe D’Onghia non nuovo ad esperienze del genere.
Lucio Dalla ha concluso con due parole di commento sull’opera e sul suo rapporto umano con la poetesa. Poi ha voluto regalare al pubblico due sue gemme: “4 marzo 1943”, la sua canzone preferita dalla Merini, e “Caruso”. Gli arrangiamenti di D’Onghia hanno vestito i due pezzi di nuove preziose magie sinfoniche, esaltate dal violoncello e dai violini.

L’emozione ha ammutolito il pubblico.

Gianfranco Morisco

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