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martedì 17 novembre 2009

Gheddafi: Cento ragazze per me (di Roberta Piferi).


Il “reclutamento” promosso dal colonnello Gheddafi di 250 ragazze giovani, piacenti e disposte a tutto (anche a convertirsi all’Islam) per 50 euro, più che sui fasti di Villa Certosa m’induce a riflettere sui nefasti della condizione femminile che, dall’avvento del femminismo in poi, auspicavamo cambiata particolarmente in seguito all’impennata di una novellata dignità che, fino agli anni 70, pervadeva le donne tutte. Costoro inneggiavano non più alla libertà (ormai conquistata) del voto, bensì all’affrancamento dalla tirannia dell’uomo che, come sapevamo, si traduceva in denigrazione della donna e della sua immagine di schiava e d’oggetto del piacere. Campeggiavano, sui manifesti, bei ritratti di donne succinte e ammiccanti e imperavano, in certe trasmissioni del piccolo schermo ormai superato dalla digitalizzazione, le ragazze coccodè che, senza il “quasi”, ci facevano vergognare del nostro sesso. L’estensione del numero delle donne in politica ma anche nei posti di spicco del mercato del lavoro e nella scienza, indusse in seguito a pensare con orgoglio che alla donna fosse finalmente riconosciuto, oltre che un bel corpo, anche un cervello. Il concorso di Miss Italia con belle ragazze non più del tutto italiche e con annesso seguito di mamme trepidanti fu relegato più che altro ad un passato nostalgico e tradizionalista come il Festival di Sanremo prima dell’avvento dei dialetti, da inserire in ambienti neorealistici già degnamente rappresentati da film come “Bellissima”. Tanto più che le aspiranti Miss tenessero a dimostrare, con tanto di laurea in mano, di non essere solo belle e sceme, ma di aver partecipato al concorso quasi tutte per gioco e di ambire a più svettanti carriere che non a quella della blue-bell o velina che dir si voglia. Per i ruoli di moglie e mamma, poi si vedrà ed invece no. Le ex bellocce-ma-non-sceme sono di nuove pronte a rivestire i panni delle odalische pur di soddisfare occhi ed intenti di un non più giovane sultano e neppure per compensi alla Kashoggi, bensì per un minimo d’effimera “visibilità”. Se poi i soldi che riceveranno a titolo di “argent de poche” saranno pochi e maledetti, a loro non importa. Se sotto sotto anche la nostra immagine ne uscirà strapazzata, nemmeno. Purché sia tutto, e subito.

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