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sabato 14 novembre 2009

Bari - Dietro le quinte di ‘Donna non rieducabile’ con Ottavia Piccolo


Manca poco più di un’ora allo spettacolo. Sul palcoscenico del teatro Piccinni di Bari i tecnici stanno provando le luci e il suono.

Ottavia Piccolo è già nel suo camerino. “E’ stata la prima ad arrivare” ci dicono. “Possiamo farle qualche domanda?” chiediamo. Nessun problema. Non passa neanche un minuto che la porta della suo camerino si apre.

Dentro ci sono poche cose. Davanti allo specchio, il copione aperto dello spettacolo “Donna non più rieducabile”, memorandum sulla giornalista russa Anna Politkovskaja uccisa il 7 ottobre del 2006.

“La conoscevo già prima che morisse, ne avevo sentito parlare – ci dice - e avevo letto un libro sulla Cecenia scritto da lei. Ovviamente per prepararmi alla parte mi sono documentata leggendo tutto ciò che è stato pubblicato in Italia. Mi è stato di supporto soprattutto il testo di Stefano Massini (autore e regista del monologo teatrale, ndr) che ha riscritto e reinterpretato i pezzi della giornalista russa in modo molto esauriente”.

Quegli articoli sono stati una condanna a morte per la Politkovskaja che ha pagato con la vita la volontà di fare semplicemente il proprio lavoro. E’ stata ammazzata pochi giorni prima che pubblicasse un'inchiesta sulle torture in Cecenia da parte dei russi. Verità scomode. “Anna diceva di essere una reporter – continua Ottavia Piccolo - voleva raccontare i fatti senza commenti, senza giudizi.

Aveva una scrittura forte, senza fronzoli, secca, diretta, ironica. Per lei la libertà di espressione e di informazione era fondamentale e tutto ciò infastidiva parecchio i poteri forti. Prima di lei e anche dopo tanti giornalisti e attivisti di organizzazioni per i diritti umanitari sono morti in Russia così come nel nostro paese e in altre parti del mondo. E’ per questo motivo che il suo ricordo oggi è necessario”. Ottavia Piccolo le conosce bene queste cose. Fa parte dell’associazione Articolo 21, ha un marito giornalista e spesso le capita di guardarsi intorno e di commentare “tante cose che non funzionano”.

Il suo compito in questo caso però è di fare l’attrice. Lo spettacolo che porta sulle scene non è un documentario, è una storia come ce ne potrebbero essere tante a questo mondo. Raccontarla tuttavia attraverso il linguaggio scenico le fa assumere un valore più grande. “Il senso del teatro sta proprio nel rendere tutto un po’ più universale attraverso l’emozione e la focalizzazione su un problema.

Una storia unica è capace di sollecitare riflessioni e sensazioni di carattere ampio e generale”. Qual è allora il messaggio della vicenda di Anna Politkovskaja? “Non abbassare la guardia – risponde asciutta Ottava Piccolo - Lei è quello che ha fatto. Anche se avesse voluto, non avrebbe più potuto smettere di raccontare quello che vedeva.

Era diventata un simbolo per le persone oppresse in Russia e in Cecenia che le andavano a raccontare ciò che accadeva quindi vedevano in lei la possibilità che queste realtà venissero alla luce”.

Daniela Vitarelli

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