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venerdì 11 luglio 2008
Bari – Intervista al giudice Ferdinando Imposimato sul 'caso Moro'
Una figura come quella del giudice Imposimato non necessita di molte presentazioni: basterà solo ricordare il suo ruolo di protagonista nei processi alla mafia e al terrorismo, il suo impegno per la difesa dei diritti umani e la sua grande visibilità per la collaborazione con la nota trasmissione “Forum” in qualità di giudice arbitro.
Imposimato manca da Bari da quasi 25 anni, quando ancora aveva i capelli biondi, come lui stesso ha ironicamente affermato. Finalmente, ha l’occasione per tornarci con l’invito all’ultima tappa pugliese della manifestazione cinematografica “Cinemadamare”. Obiettivi: ricordare e discutere l’uccisione di Aldo Moro, durante il trentesimo anniversario della sua morte e nella sua patria di formazione (Aldo Moro fu studente e docente alla Facoltà di Giurisprudenza di Bari).
Dunque, il posto e il momento più giusto per incontrare la persona più informata e competente sul tema.
Aldo Moro “doveva morire”, secondo il titolo del suo libro, che analizza l’attentato ai danni di Aldo Moro, dalla strage di Via Fani all’uccisione. Perché “doveva morire”? E, proseguendo con il suo titolo, “chi ha ucciso Aldo Moro”?
Doveva morire perché, al di là della versione ufficiale che indica nei terroristi delle Brigate Rosse gli autori materiali e gli esecutori dell’assassinio, si sono mossi altri personaggi (per esempio, il Ministro dell’Interno Cossiga). Questi hanno segnato l’assassinio di Aldo Moro con una condotta molto grave fino a giorno del rapimento, ma anche prima del processo, attraverso l’omissione della sicurezza di Aldo Moro, che più volte aveva chiesto la scorta senza risultato. Poi, perché, durante quei 55 giorni, ci sono state una serie di azioni intimidatorie che spingevano le Brigate Rosse a catturare Moro. Quindi, doveva morire perché era stato deciso così dai massimi esponenti politici di governo del tempo: Francesco Cossiga e il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Questa è una cosa che ormai risulta, secondo me in maniera clamorosa, attraverso gli atti e le ricerche che abbiamo fatto.
E qual è il ruolo del KGB in tutto questo? (Lei è stato il primo a scoprire il coinvolgimento dei servizi segreti russi nel “caso Moro”)
In questa vicenda sono entrati uomini delle due grandi superpotenze del tempo: del KGB sicuramente, ma anche degli Stati Uniti, della CIA. Infatti, esisteva un comitato di crisi che gestiva il sequestro di Aldo Moro e di cui facevano parte sia uomini della “P2”, sia un uomo della CIA come Franco Ferracuti, sia un uomo del Dipartimento di Stato come Steve Pieczenik, sia un uomo del KGB. Poi, Aldo Moro, per tre mesi e mezzo, era stato seguito all’Università “La Sapienza” da un colonnello del KGB, un falso studente borsista in Italia per frequentare il corso di Storia del Risorgimento Italiano. In realtà, però, era venuto per pedinare Aldo Moro e per seguire tutta la sua vicenda fino al giorno del suo sequestro.
Il partito socialista aveva intenzione di avviare una trattativa umanitaria con le Brigate Rosse per la liberazione di Moro. Il tentativo fallì a causa dei “no” di tutti gli altri partiti. Come interpreta questi “no” e, in particolare, quello della Democrazia Cristiana, a cui Aldo Moro apparteneva?
Perché anche questa iniziativa del Partito Socialista è stata vanificata da una serie di risposte di chiusura totale da parte del governo. Bettino Craxi aveva incaricato Giuliano Vassalli, un grande giurista, per elaborare un progetto in modo da portare ad una scelta unilaterale da parte dello Stato di liberare Aldo Moro. I socialisti, di certo, non volevano trattare con i terroristi, perché questo sarebbe stato impossibile, dal momento che il 16 Marzo erano stati uccisi i cinque uomini della scorta (tra cui Leonardi e Rivera). A questo punto, restava l’unica possibilità di un atto di clemenza nei confronti di qualche terrorista, non accusato di fatti di sangue, che avrebbe indotto le Brigate Rosse a liberare Moro. E, per la verità, Vassalli trovò un terrorista che aveva queste caratteristiche: Buonoconto, che aveva diritto alla libertà per le sue cattive condizioni di salute. Io ho avuto anche modo di parlare recentemente con Prospero Gallinari e mi ha detto che sarebbe bastata la liberazione di Buonoconto per costringere i terroristi a liberare Moro, dal momento che chiedevano necessariamente una contropartita. Ma, anche questa proposta di Vassalli non era molto intelligente e rispettosa della legalità, perciò venne respinta in maniera dura da parte di Andreotti e di Cossiga, i quali, fin dall’inizio, avevano affermato che non avrebbero mai accettato di liberare nessun terrorista.
La giustizia ha, a volte, il limite di non poter condannare qualcuno per mancanza di prove, ma ciò non significa che quel qualcuno sia innocente. Lei è giudice e, nello stesso tempo, scrittore. La verità storica, espressa da un libro o da un’inchiesta giornalistica, può superare il limite di quella giudiziaria?
Sì, perché, come mi insegnano i due storici Francesco di Martino e Gaetano Arfè, guai se si pensasse che la storia della Repubblica sia scritta dalle sentenze, perché, allora, non potremmo mai scriverla. La storia io l’avevo scritta già nelle prime 3 sentenze su Moro, però, all’epoca, io non avevo delle testimonianze importanti, per esempio come quella di Steve Pieczenik, che aveva confessato di aver architettato un piano per eliminare Aldo Moro d’accordo con Cossiga. Io stesso per trent’anni mi sono rifiutato di credere a quello che sto dicendo adesso, perché la stampa mi aveva indotto in errore. Quindi, alla sua domanda giusta e fondamentale rispondo: guai se ci dovessimo basare solo sulle sentenze per tracciare la storia di questo paese, che va tracciata anche contro le sentenze, perché c’è stata l’impunità di alcuni colpevoli della strage. Purtroppo, anche una parte della magistratura era al servizio dei poteri forti. Questa è la verità storica e dobbiamo prendere atto che oggi la situazione non è migliore, dal punto di vista della libertà di stampa e della magistratura.
Questo, infatti, è un periodo di fermento, intrecci, scontri tra il governo e la magistratura. In quale misura manca, adesso, una figura come quella di Moro?
Manca molto, perché Aldo Moro aveva una statura politica, morale e istituzionale straordinaria, una cultura giuridica e umanistica immensa (insegnava diritto e procedure penale all’Università “La Sapienza”), ma, soprattutto, una capacità di anticipazione degli eventi unica, perché aveva visto già nel 1973 che l’Italia si doveva aprire a nuovi orizzonti politici. La sua scelta del ’73 di fare un governo di centrosinistra con i socialisti venne, addirittura, appoggiata da Kennedy, che venne in Italia per sostenere la sua apertura ai socialisti, contrastata, invece, da una parte dei conservatori americani. Purtroppo, anche Kennedy subì lo stesso destino, perché quando tornò negli Stati Uniti fu assassinato. Quindi, adesso, un uomo come Moro non esiste. Del resto, anche di recente, Moro è stato definito l’unico grande statista che ha avuto l’Italia negli ultimi 60 anni. Era un grande uomo, però, purtroppo, durante i 55 giorni è rimasto solo, perché, addirittura, il Ministro dell’Interno è stato capace di soggiogare tutti i giornali che contano (la “Repubblica” e il “Corriere della Sera” che era nelle mani di Lucio Gelli, amico intimo di Cossiga) e di farsi firmare da 75 intellettuali italiani un documento che dichiarava la pazzia di Aldo Moro sotto la pressione delle Brigate Rosse. La cosa non è assolutamente vera, perché Aldo Moro era perfettamente lucido e voleva sopravvivere non per viltà, come qualcuno ha insinuato, ma semplicemente perché lui sapeva che la sua presenza era indispensabile alla sua famiglia. Quindi, Moro era un uomo straordinario e destinato a diventare Presidente della Repubblica. La sua candidatura, però, non era accettata né da Cossiga, né da Andreotti, né dei loro seguaci. Questa è la verità e questo ho scritto: uno dei moventi dell’uccisione è stata proprio la volontà di eliminare Moro dalla competizione per la Presidenza della Repubblica.
Quindi, “un uomo straordinario”. Eppure, il Cardinale Giuseppe Siri al momento della morte di Moro ha commentato dicendo: “ha avuto quel che si meritava”. Ma, in realtà, cosa meritava Moro dalla giustizia e dal mondo politico?
Siri era un cardinale conservatore e miope rispetto alle visioni futuristiche di Aldo Moro. Quindi, era semplicemente un personaggio che si adeguava alle circostanze: sapeva che Moro era, ormai, perduto e condannato a morte e allora incominciava a preparare il terreno per nuovi accordi con Andreotti e Cossiga. Lo stesso Papa Paolo VI non si è comportato bene nei confronti di Aldo Moro: non ha fatto nulla per aiutarlo. Anche se era possibile.
Marisa Della Gatta
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