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venerdì 12 marzo 2010

La televisione da mamma a cattiva maestra ( miti, falsità e aberrazioni ) - Approfondimento

Quanto la visione di determinati programmi televisivi può influire sul comportamento quotidiano del telespettatore? Quanto la televisione può essere oggi educativa o antieducativa?
“Wine Bar, Reality Culturale” ne parla all’interno della puntata intitolata: “La televisione da mamma a cattiva maestra ( miti, falsità e aberrazioni )”, condotta da Giuseppe Maria Galliano e da Simona Schiano Di Coscia, avente come ospiti: Francesca Pentimalli - biologa molecolare, ricercatrice oncologa ; Francesco D'Errico - pianista compositore jazz e “filosofo” ; Salvio Vassallo - percussionista e autore di musica contemporanea; Claudia Sorvillo - giovane cantautrice; Cesare Moreno - ''maestro di strada''; Jo Vittorini - regista e autrice di documentari.

Le prime trasmissioni RAI in bianco e nero, non ancora estese all’intero territorio nazionale, risalgono al 3 gennaio del 1954.
La televisione si è diffusa in un primo momento nei luoghi pubblici, soprattutto nei bar, riuscendo a radunare persone provenienti da diversi ambiti sociali (grazie al suo palinsesto generalista) e a farle relazionare, confrontare. In questo modo essa ha consentito ben presto l’abbattimento di quelle barriere dialettali che dividevano l’Italia, uniformandone la lingua, fino a concretizzare quei presupposti relativi all’ottenimento di una lingua unica pronosticati fin dal lontano 1860, con l’ Unità d’ Italia. La televisione ha dato inoltre una grande spinta in direzione del miglioramento, fino alla quasi totale scomparsa, del problema dell’ analfabetismo. Ma la televisione ha recato all’Italia anche tendenze negative, come il consumismo, che oggi dilaga sempre più nella nostra società: non appena fu chiara la sua capacità di coinvolgimento sul pubblico, essa divenne subito il mezzo più ambito per diffondere messaggi pubblicitari.
Pier Paolo Pasolini, scrittore poeta e regista italiano del 1900, attribuiva alla televisione il fenomeno di generazione di una moda unica e globalizzata, di una moda che non apparteneva più, dunque, ad un ristretto circolo élitario, bensì alla massa. Pasolini aveva già intuito gli effetti che la massificazione televisiva avrebbe avuto sulla cultura e sulle mode giovanili odierne, attraverso l’analisi degli effetti che essa aveva provocato sui giovani degli anni ’70: riferendosi alla società in cui viveva, infatti, Pasolini affermava che, per effetto delle dinamiche televisive, non era più semplice distinguere un “comunista da un fascista”, o un “borghese da un proletario”, in quanto la tv aveva creato una mutazione antropologica che già in quel periodo portava, attraverso la pubblicità ed i messaggi subliminali, ad un’omologazione nelle mode e nei desideri della collettività.
Gli effetti negativi che la televisione apporta oggi al pubblico sono causati dalla volontà di tenere alto l’audience. Il sistema commerciale si fonda sull’autofinanziamento generato dalle pubblicità, che vengono vendute ad un prezzo tanto più alto quanto maggiore è il livello di audience prodotto da un programma. Da questo concetto si sviluppa la necessità attuale di produrre e di mettere a disposizione del pubblico unicamente format che siano facilmente fruibili, format che non richiedano l’impegno dell’apprendimento per essere seguiti, format che però, d’altro canto, non sono educativi. Con l’avvento della tv commerciale, tuttavia, anche la televisione pubblica ha dovuto attenersi alla produzione di programmi meno impegnativi per non scomparire, per non essere del tutto sorpassata da quella commerciale.
La freneticità quotidiana porta nell’italiano medio la necessità, a conclusione della giornata, di trovare nella televisione un diversivo, un elemento di svago ed una fonte di rilassatezza, e, dunque, il comportamento del telespettatore medio tende sempre più ad assumere una connotazione passiva. La televisione odierna, ai fini del già menzionato discorso dell’audience, tende a soddisfare questo tipo di bisogno che la maggioranza della popolazione italiana detiene, trascurando quelli che sono gli interessi delle minoranze, che sarebbero propense invece ad un ritorno di tematiche culturali e di qualità. Da questo deriva il decadimento di quel ruolo educativo che veniva inizialmente attribuito alla televisione, la quale, tuttavia, continua a rivolgersi alle grandi masse, diventando, in questa maniera, antieducativa.
Ci sono svariati libri e scrittori che parlano della “violenza” che le programmazioni televisive attuali somministrano, senza crearne consapevolezza, nel telespettatore, anche se non ci sono ancora prove scientifiche e certificazioni concrete atte a provarlo.
Tra i primi studiosi a parlare di questo aspetto negativo della televisione è senz’altro da menzionare Karl Popper, filosofo ed epistemologo austriaco che, all’interno del suo libro “Cattiva maestra televisione”, parla, tra le altre cose, della necessità, da parte di coloro che fanno televisione, di essere in possesso di una “patente per fare televisione”, ottenibile solo in seguito allo svolgimento di un corso capace di insegnare la maniera in cui i bambini assorbono ciò che gli viene offerto dalla televisione e le conseguenze che possono essere determinate sul pubblico da una mescolanza impropria tra realtà e finzione. La televisione esprime contenuti fittizi in maniera realistica, creando una radicale modifica all’interno dell’ambiente dal quale i bambini, che non sono ancora capaci di distinguere la realtà dalla finzione, estrapolano i modelli comportamentali di base per il loro sviluppo. Il rischio che si corre è la creazione di giovani disumanizzati, violenti ed indifferenti alla violenza, in quanto abituati a fruirla in maniera realistica ogni giorno attraverso lo schermo televisivo.
Ecco infine quali sono i rischi che la psicologia moderna attribuisce alla visione di alcuni programmi televisivi da parte di bambini che non siano “accompagnati” dalla presenza di un adulto:
1. una permanente difficoltà di distinguere la realtà dalla finzione;
2. la disumanizzazione orientata sul soggetto: di fronte a scene di violenza il bambino può acquisire una vera mancanza di empatia nella sofferenza altrui.
3. la disumanizzazione orientata sull'oggetto: il bambino può iniziare a ritenere che in fondo gli altri siano oggetti, reificando quindi il prossimo, che diventa ai suoi occhi una cosa e non più una persona;
4. la televisione violenta potrebbe diventare istigatrice di azioni aggressive.

Manuela Scherillo

http://www.winebarshow.it/home/index.php/streaming-online-2010/171-la-televisione-da-mamma-a-cattiva-maestra--miti-falsita-e-aberrazioni-

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