di G. BevilacquaVerona, dic. 2006 genn. 2007
La Natività 2006 di G. Bevilacqua ha quale testo ispiratore non altro che la narrazione degli evangelisti Luca e Matteo. Un’essenzialità evangelica, dal tratto svelto e capace, che molto deve alla prima rappresentazione tridimensionale del presepe che Arnolfo di Cambio fece, nel 1289, per S. Maria Maggiore a Roma. Un’impostazione diversa dal genere domestico-popolare, ricca di figurine e di caratterizzazioni ambientali legate alle varie tradizioni locali. Diversa, pure, dal genere diorama, in cui giochi di prospettive, specchi e luci, vengono utilizzati per realizzare una scena presepiale visivamente affascinante ed evocativa.Nell’opera in terracotta patinata di Bevilacqua si realizza un “presepe” d’arte nella sua accezione più letterale e simbolica di “recinto chiuso” o di rappresentazione essenzialmente circoscritta ai protagonisti della narrazione degli evangelisti: la Madonna col bambino Gesù, il paterno Giuseppe, i Magi, i pastori, gli angeli del cielo.La composizione allestita quest’anno costituisce visivamente una sorta di altare mistico, con un posizionamento sintattico e prospettico quasi liturgico. Personaggi e significati hanno una collocazione visivamente equilibrata e rigorosamente simbolica. Magi e pastori “dona ferentes” – quel popolo d’ispirati testimoni del tempo e dell’evento, rappresentanti del potere illuminato dalla scienza e dell’umile vivere quotidiano – costituiscono nell’opera una sorta di basamento strutturale ed iconico. Sull’articolata ara celebrativa (come non pensare all’altare allestito da San Francesco in Greccio, per celebrare nel 1223, tra rito e rappresentazione, la nascita di Gesù) l’artista pone, in una sorta di culla-mangiatoia, in uno spazio lasciato libero dagli astanti bue ed asinello, il Bambino Gesù cui protende le braccia premurose Maria Vergine, sotto gli occhi patriarcali di Giuseppe, santo del Nuovo e testimone ispirato del Vecchio Testamento. Fanno da corona tre angeli discesi dal cielo, voce dall’alto per proclamare al mondo "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama". (Luca)Stilisticamente la composizione (assemblata a blocchi per esigenze tecniche) ha una sua funzionale quanto equilibrata complessità, dall’altorilievo delle figure sul basamento, al tutto tondo degli angeli che sovrastano la scena e si librano nel cielo con un battito d’ali e svolazzanti cartigli. In basso, sempre a tutto tondo, si accostano simmetricamente le figure di un altro pastore e il suo gregge (secondo l’iconografia che nella cristianità apparterrà a Cristo Buon Pastore, che reca sulle spalle la pecorella smarrita) e un suonatore di zampogna, per una soffiata melodia di canto-alleluia (Adeste fideles, laeti triunphamtes…) ed una conciliante, sommessa ninna nanna. L’opera è modellata in argilla, materiale prediletto dall’artista, nella cifra stilistica solita in G. Bevilacqua, capace di dare forma alle sue figure, reale ed evocativa al tempo stesso, partendo da una corteccia materica duttile e metamorfica, simbolo e segno della stessa creazione artistica: dalla materia alla forma, dall’idea alla sua eidetica raffigurazione.
(Giuseppe F. Pollutri)
La Natività 2006 di G. Bevilacqua ha quale testo ispiratore non altro che la narrazione degli evangelisti Luca e Matteo. Un’essenzialità evangelica, dal tratto svelto e capace, che molto deve alla prima rappresentazione tridimensionale del presepe che Arnolfo di Cambio fece, nel 1289, per S. Maria Maggiore a Roma. Un’impostazione diversa dal genere domestico-popolare, ricca di figurine e di caratterizzazioni ambientali legate alle varie tradizioni locali. Diversa, pure, dal genere diorama, in cui giochi di prospettive, specchi e luci, vengono utilizzati per realizzare una scena presepiale visivamente affascinante ed evocativa.Nell’opera in terracotta patinata di Bevilacqua si realizza un “presepe” d’arte nella sua accezione più letterale e simbolica di “recinto chiuso” o di rappresentazione essenzialmente circoscritta ai protagonisti della narrazione degli evangelisti: la Madonna col bambino Gesù, il paterno Giuseppe, i Magi, i pastori, gli angeli del cielo.La composizione allestita quest’anno costituisce visivamente una sorta di altare mistico, con un posizionamento sintattico e prospettico quasi liturgico. Personaggi e significati hanno una collocazione visivamente equilibrata e rigorosamente simbolica. Magi e pastori “dona ferentes” – quel popolo d’ispirati testimoni del tempo e dell’evento, rappresentanti del potere illuminato dalla scienza e dell’umile vivere quotidiano – costituiscono nell’opera una sorta di basamento strutturale ed iconico. Sull’articolata ara celebrativa (come non pensare all’altare allestito da San Francesco in Greccio, per celebrare nel 1223, tra rito e rappresentazione, la nascita di Gesù) l’artista pone, in una sorta di culla-mangiatoia, in uno spazio lasciato libero dagli astanti bue ed asinello, il Bambino Gesù cui protende le braccia premurose Maria Vergine, sotto gli occhi patriarcali di Giuseppe, santo del Nuovo e testimone ispirato del Vecchio Testamento. Fanno da corona tre angeli discesi dal cielo, voce dall’alto per proclamare al mondo "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama". (Luca)Stilisticamente la composizione (assemblata a blocchi per esigenze tecniche) ha una sua funzionale quanto equilibrata complessità, dall’altorilievo delle figure sul basamento, al tutto tondo degli angeli che sovrastano la scena e si librano nel cielo con un battito d’ali e svolazzanti cartigli. In basso, sempre a tutto tondo, si accostano simmetricamente le figure di un altro pastore e il suo gregge (secondo l’iconografia che nella cristianità apparterrà a Cristo Buon Pastore, che reca sulle spalle la pecorella smarrita) e un suonatore di zampogna, per una soffiata melodia di canto-alleluia (Adeste fideles, laeti triunphamtes…) ed una conciliante, sommessa ninna nanna. L’opera è modellata in argilla, materiale prediletto dall’artista, nella cifra stilistica solita in G. Bevilacqua, capace di dare forma alle sue figure, reale ed evocativa al tempo stesso, partendo da una corteccia materica duttile e metamorfica, simbolo e segno della stessa creazione artistica: dalla materia alla forma, dall’idea alla sua eidetica raffigurazione.
(Giuseppe F. Pollutri)