Le prime persone che vennero a contatto con
Il linguaggio
Aprendo l’opera, in una qualunque delle sue pagine, si nota immediatamente che il linguaggio è lontano sia dallo stile dantesco, sia dall’utilizzo di tutte quelle formule (o licenze) poetiche che caratterizzano la maggior parte delle opere in versi. L’Autore sceglie un modo di esprimersi attuale, a volte con frasi ad effetto che ricordano lo stile pubblicitario, e riesce a fare ciò rispettando la metrica dell’endecasillabo e utilizzando le rime in modo che il discorso ed i dialoghi mantengano sempre una straordinaria fluidità. L’endecasillabo e la rima non sono, quindi, dei limiti, ma diventano strumenti utilizzati con grande maestria per accentuare il ritmo narrativo e l’efficacia delle frasi. Ne nasce un andamento ‘musicale’ che evidenzia al lettore il fatto che Franco Caminiti è anche musicista; e questo valore aggiunto di sensibilità artistica spinge l’Autore a pretendere, e ad ottenere, dal verso una particolare musicalità. Può capitare di incontrare, qua e là, versi che eccedono le 11 sillabe ma che, letti con le giuste accentazioni, rientrano nella metrica. Come si noterà, infatti, l’Autore ha utilizzato l’accento su tante parole che, normalmente, non sono accentate, proprio per agevolarne la lettura corretta. Nel confessarci le difficoltà incontrate nel realizzare quest’opera, Caminiti ci ha fatto notare come egli sia stato avvantaggiato, nei confronti di Dante, dal fatto di avere a disposizione un’enorme quantità di parole tra le quali scegliere le più appropriate. Dante Alighieri, invece, nel preferire il volgare, la lingua utilizzata dal popolo, si ritrovava con uno strumento linguistico alquanto rudimentale, non ancora codificato, “...e proprio da questo emerge la grandezza del poeta fiorentino che, a buon diritto, va considerato il padre della lingua italiana”. Al tempo stesso, ci fa notare l’Autore che, trovandosi nell’empasse della rima, Dante poteva ricorrere a neologismi, al troncamento delle parole, eliminando sillabe dove ciò era richiesto dall’esigenza metrica. Nella Istoria, invece, le parole tronche, caratteristiche della poesia, sono utilizzate molto di rado, e soltanto quando quel troncamento fa parte del linguaggio quotidiano. La stessa proprietà di linguaggio viene, a volte, sacrificata a beneficio di una maggiore comprensibilità. La parola colta lascia spazio a quella più usata, che dia, oseremmo dire, una risposta subliminale più immediata e certa. Questo ha comportato un doppio lavoro nella ricerca linguistica: trovare la parola più appropriata e poi, magari, sacrificarla perché non immediatamente fruibile nella situazione. Tornando col discorso alla rima incatenata ed alla comprensibile difficoltà che comporta, leggendo criticamente
Un inferno senza dèmoni
Caminiti rivoluziona l’iconografia ufficiale che vuole l’inferno infestato da dèmoni spaventosi, con code e tridenti, intenti a tormentare i dannati che ardono nelle fiamme eterne; un’iconografia per secoli sostenuta dagli artisti e avallata dalla Chiesa. L’inferno di Caminiti è costituito da una serie di luoghi dell’anima, ambientazioni oniriche, spesso ispirate dalla logica del contrappasso, che non si sviluppano in una dinamica geometrica che consenta una divisione strutturale in cerchi, gironi, bolge, o qualcosa d’analogo. L’inferno non è un luogo, o una regione, o un nemico che con coraggio affronto. Spesso è un’idea che crea una condizione! Il lettore assiste ad un viaggio che vede salite e discese alternarsi a luoghi pianeggianti, ambienti chiusi che precedono o seguono quelli aperti: grotte, caverne, ma anche palazzi, strade lastricate come una consolare o asfaltate come un’autostrada, spiagge e stagni limacciosi, miniere e radure desolate. Sono tutti luoghi che l’Autore presenta in un’altalena di reale e surreale. Gli stessi personaggi, il loro comportamento, i dialoghi, nella maggior parte dei casi, sono solo una metafora. A volte partono dal surreale per approdare ad uno spietato realismo, per ritornare in un surrealismo che va dall’ironia al sarcasmo. Non vediamo dèmoni, salvo rari casi d’ombre indefinite che lasciano supporre una loro presenza, e Satana che incontriamo alla chiusura dell’opera. La presenza demoniaca, invece, è palpabile nei personaggi. Questi mostrano un’assoluta refrattarietà al pentimento, mantengono la loro arroganza, con un nefasto utilizzo del libero arbitrio. In loro non si riscontrano moti di redenzione, nemmeno di fronte alla morte ed alla consapevolezza di aver lasciato, ormai, tutto ciò che è terreno: averi, potere, privilegi, prerogative, per ritrovarsi nudi davanti a se stessi, alle proprie colpe, agl'errori, ingordigie, debolezze, cattiverie, crudeltà. Un inferno, quindi, senza speranza, poiché non c’è volontà di redenzione, e dove la parola ‘amore’ non ricorre quasi mai. Un inferno in cui, tuttavia, incontriamo anche figure di santi o di saggi (Tommaso Moro, Giordano Bruno, Giovanna d’Arco) che l’Autore colloca in determinate situazioni nelle quali risultano straordinariamente funzionali al racconto.
La motivazione morale
È palese l’intento moralizzatore dell’opera. Tuttavia l’Autore si tiene ben lontano dai facili e scontati moralismi, anzi evita i giudizi, preferendo un approccio alle situazioni quasi sempre cauto, umile, e velato da umana pietà. Preferisce lasciare che la verità storica emerga senza commenti demandando, così, a chi legge il compito di trarre le conclusioni. È come se l’Autore scoprisse le cose insieme al lettore e resta un osservatore staccato, non mostra convinzioni preconcette, se non quelle che la storia ha ormai imposto con l’accertata verifica dei fatti. In quei casi, Caminiti tenta una sorta di revisione, adoperando una diversa chiave di lettura, aggiungendo elementi non noti al grande pubblico, nell’intento di spingere il lettore ad una maggiore coscienza critica, quasi suggerendogli di non fermarsi alle righe della storia, seppure scritte da storici autorevoli, ma di leggere oltre, tentando di scoprire l’altro lato della medaglia, le motivazioni recondite che hanno spinto ai fatti, le ragioni, spesso colpevolmente trascurate dai giornali o dai libri, che hanno motivato certi comportamenti. Non risposte preconfezionate, ma una ricerca a tutto campo della verità. L’obiettivo finale è di indurre il lettore ad informarsi, a saperne di più, ponendosi, di volta in volta, la domanda: ‘cosa c’è dietro?’ La storia è la storia ed ha un dovere: Le verità non sono tali se son mezze!
La politica
Caminiti non fa mistero delle sue idee politiche: si definisce ‘liberalsocialista’. Il liberalsocialismo è un movimento politico che non esiste, seppure sia esistito nell’immediato dopoguerra. Riesce, comunque, a mettere da parte le sue convinzioni per poter guardare ai fatti con occhio distaccato, anche se non avulso, è ovvio, dalla realtà o dal sentire comune, ma assolutamente libero da condizionamenti personali. L’imparzialità, tuttavia, vuole i suoi limiti, e del resto, il lettore legittimamente ‘pretende’ da un’opera come questa una presa di posizione da parte dell’autore. L’Autore non si tira indietro, non sì ‘nasconde dietro un dito’ nel timore di scontentare questo o quello, al contrario: quando la logica dell’opera lo vuole, anzi impone che egli si esprima, lo fa, e senza mezzi termini: La verità scala le vette sino in cima... È inutile che li camuffi e li confondi: Fascismo e comunismo fanno rima”! Cerca, quindi, per quanto possibile, di immaginare quale potrebbe essere la posizione dei personaggi, partendo, ovviamente, da un’analisi storica e filosofica, permette che essi tentino una personale difesa, oppure facciano un’ammissione dei propri errori, a seconda se il loro profilo caratteriale lasci supporre l’una o l’altra cosa. A volte, invece, non consente loro il privilegio di prendere la parola, laddove il comportamento da vivo è stato tale da suscitare nell’Autore un sentimento di repulsione che il lettore, supponiamo, condividerà. Poi ci sono le prese di posizione, senza ‘se’ né ‘ma’, contro alcuni crimini: la pedofilia, la mafia, la gratuita crudeltà, per arrivare alla condanna senza appello dei totalitarismi.
La fede
L’aspetto fideistico è, naturalmente, fra i più importanti dell’opera. L’Autore si rivela per quello che è: un credente non praticante, un laico che è convinto devoto di Padre Pio, ma non prega con assiduità. Un atteggiamento, quindi, razionale, per quanto si possa tenere nei confronti d’argomenti che investono il campo della spiritualità. Caminiti cita
Struttura e stile dell’opera.
Questa prima parte de
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