piazza San Giuseppe 1/2/3
Siracusa
Giovedì 10 novembre alle ore 18,30 a cura di Salvo Sequenzia NEL VANO TRASPARIRE 'Ortigia felix'. L'isola senza tempo nel canto dei poeti
Questo omaggio a Siracusa e al suo cuore - l'isola di Ortigia, «isola nell'isola» - vuole essere innanzitutto un viaggio, una catabasi, una sorta di discesa agli Inferi che un viator incantato e dolente, un uomo ferito, intraprende tra i vicoli della Mastra Rua e della Sperduta, alla ricerca della sua terra, della sua magia e del suo splendore. Ma, come un Ulisse assetato di nostos, nel delirio del ritorno, il viaggiatore approdato all'isola di Ortigia non riconosce più suoi quei luoghi che un tempo furono il 'giardino di Hamdis', un'isola dei Feaci di stordente splendore ed incanto.
All'urgenza della realtà e della storia, alla necessità del ritornare a Ortigia, allora, sottentra l'urgenza della memoria, che è medicamentum e balsamo, ma anche squarcio, ferita profonda da cui sgorga la pietà mesta della poesia.
Il viator diviene, dunque, peregrinus, un «nomade d'amore» che ritrova Ortigia nel canto dei poeti.
Seguendo una trama invisibile, una fitta e spessa regnatela di immagini, suoni, parole e colori ordita meravigliosamente da un secolo all'altro, sin dalle scaturigini della civiltà in cui mito e storia si intrecciando e si fondono nel verso adamantino di Pindaro, che rende omaggio all' «augusto d'Alfeo fiore di Siracusa illustre, Ortigia».
La poesia, sola, conosce e sa dire al mondo il linguaggio della pietà e del conforto; sola, essa salva nella desolata vaghezza di una parola, nel modularsi dissolto di un suono, nello scoramento, la memoria ferita di un luogo e della sua storia.
I poeti hanno amato Ortigia, ed hanno conservato nelle loro parole le architetture 'verticali', il labirinto musicale dello spaesamento, la malinconia del mare, l' ansia perenne della pietra, un mondo equoreo e fatato, ancipite:
Giace della Sicania al golfo avanti
un’isoletta che a Plemmirio ondoso
è posta incontro, e dagli antichi è detta
per nome Ortigia. A quest’isola è fama,
che per vie sotto il mare il greco Alfeo
vien, da Doride intatto, infin d’Arcadia
per bocca d’Aretusa a mescolarsi
con l’onde di Sicilia. E qui del loco
venerammo i gran numi; indi varcammo
del paludoso Eloro i campi opimi.
Nella geografia 'equorea' che Virgilio, nel terzo libro dell'Eneide, tratteggerà a sbuffi e slarghi come in un acquarello, Ortigia, colta nell'abbraccio del «Plemmyrium ondosum», è realtà d'acqua, di mito, di numinosa mescidanza. Il poeta coglie una circolarità fatale, assoluta, che si ripeterà nella tradizione poetica successiva consolidandosi come autentico topos letterario:
Calava a Siracusa senza luna
La notte e l'acqua plumbea
E ferma nel suo fosso appariva,
Soli andavamo dentro la rovina
Un cordaro si mosse dal rimoto
Nella poesia di Giuseppe Ungaretti, poeta veggente, l’abbandono e il silenzio grevi dell’ora demente accompagnano e propiziano la calata a Ortigia nel liquido fluire del tempo, in un’immagine di memoria anche borgesiana, d’un tempo che contiene tutti i tempi, un attimo ogni altro attimo. In quest’istante rapido, in quest’immensa stasi, l’uomo rivive tutta la sua vita nel gesto antico ed eterno del cordaro, custode di impenetrabili Lari.
Dentro questo temenos sacro ad Artemide, nella circolarità dell'acqua che propizia una rigenerazione 'altra', data nel canto, sarà allora un rifiorire di poesia e di dolore.
Nei versi preziosi della poesia araba siracusana, cogliamo, agli albori, la tragedia dello sradicamento compendiato nel diario poetico di Ibn Hamdis.
E, ancora, giungendo ai nostri giorni, i versi di Turi Rovella, di Enzo Giudice, di Corrado Di Pietro e di altri poeti, restituiscono l'immagine di Ortigia nel racconto del loro nostos, nei loro 'ritorni' che non sono tra loro identici, si scrivono nella storia del luogo e la storia è sovrapposizione di strati, accumularsi di nuovi castelli su antiche rovine.
Anche in questo caso dunque è la composizione di piano orizzontale e verticale, la discesa dal piano sincronico e orizzontale a quello della storia e della memoria, verticale, ad offrire nuove chiavi di lettura. Il tempo della memoria e della malinconia è il tempo della luce 'nera' in cui si congiungono demone meridiano e notturno, di ungarettiana memoria. È il tempo di luce calcinante, ferale, che si riflette sul tufo biondo di Piazza Duomo, e di buio vorticare nel flusso degli evi che si respira nell'intrico dei vicoli della Giudecca.
Luce 'nera' è, dunque, quella che accompagna la memoria e la malinconia, la ricerca e la catabasi nel ventre dell'isola; ed è luce 'bianca', luce dalla tremenda forza autenticante, la lux veritatis, ferita di luce che occhi avvezzi all’ombra non sanno sostenere, nel vano trasparire di ogni cosa.
Ed è, dunque, infine, anche monito alla 'vigilanza', alla diffidenza verso opachi lucori, finte luci, vacue illusioni e pericolose menzogne che il nostro tempo propugna.
Salvo Sequenzia
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