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martedì 11 settembre 2007

IL FENOMENO COSIDDETTO MOBBING

Mentre in Europa si contano circa 12 milioni di mobbizzati pari all’8% degli occupati, secondo l’Ispesl (l'Istituto per la prevenzione e la sicurezza del lavoro), nel nostro Paese, sono probabilmente un milione e mezzo su 21 milioni di lavoratori, di cui ben oltre il 70% opera nella pubblica amministrazione. Il fenomeno del mobbing apparentemente è più presente al Nord (65%) e la categoria più esposta risulta essere quella degli impiegati (79%.). Sembra, inoltre, che colpisca maggiormente la sfera femminile (52%), finché non si scopre che l’orgoglio maschile ha una potente azione frenante che porta le vittime a nascondere frustrazioni e sofferenze anche molto gravi! Certo è che i danni, di ogni ordine e grado, ad esso addebitabili, sono davvero incalcolabili e segnano in modo indelebile l’individuo, i congiunti e l’intera collettività: è sufficiente limitarsi a stimare i costi complessivi in ambito socio-sanitario e giudiziario. Secondo l'Ispesl, il mobbing comporta un danneggiamento rilevante per ogni datore di lavoro, se si pensa che la produttività del lavoratore cala almeno del 70%, sebbene, e ciò costituisce l’aspetto più assurdo, tale strategia persecutoria sia promossa, avviata e/o avvallata proprio dal superiore.

In tutte le epoche storiche, le società naturali hanno tollerato vari livelli di marginalizzazione umana, considerandoli connaturati all’esperienza della collettività, che implica la difficile convivenza tra persone differenti, con caratteristiche diverse più evidenti (es. razza) o più nascoste (es. credo politico). Oggigiorno, soprattutto nell’ambiente di lavoro, vengono poste in essere vere e proprie strategie persecutorie allo scopo di espellere ipotetici estranei, considerati spesso veri e propri nemici da eliminare per difendersi. Questo comportamento, che può definirsi solo tribale, relega in soffitta il concetto di valore universale proprio della persona umana, incentrato sui diritti inviolabili dell’uomo, eredità della civiltà. Questo imbarbarimento dei costumi è stato consacrato nella nostra società con la codificazione dello spoil system, grazie al quale in caso di cambiamento al vertice di una determinata gerarchia può essere lecito, in casi particolari, la sostituzione dei collaboratori più stretti, a causa del rapporto fiduciario necessariamente esistente in alcuni contesti lavorativi. Tale sistema, astutamente male interpretato per indebolire o annientare “nemici” politici, è stato applicato in vari ambienti nel settore pubblico come in quello privato, producendo danneggiamenti molteplici all’intera società. Così in questi ultimi decenni è stato congegnato un nuovo termine “scientifico”, mobbing, che indica appunto questo fenomeno davvero drammatico: infatti sfogliando il vocabolario della lingua inglese si può comprendere l’idoneità di tale scelta in quanto il vocabolo ha avuto origine dal verbo to mob che significa ledere, anzi più propriamente accerchiare, e rimanda al comportamento concertato di più individui, cioè del cosiddetto branco ai danni di una determinata vittima ben identificata, al fine di costringerla alla fuga. Il primo ad utilizzare il termine mobbing è stato Lorenz nel 1963 nell’ambito dell’etologia, per indicare il comportamento di alcuni animali, quando si coalizzano tra loro per escludere un animale indesiderato dal gruppo. Nel 1986, poi, Leymann, psicologo tedesco, illustrò per primo, in un libro, le conseguenze del mobbing in ambito lavorativo, soprattutto nell’ambito della sfera della neuropsichiatria. A riprova della complessità di tale fatto, basta analizzare le tipologie che le discipline più diverse hanno coniato nel corso degli ultimi anni per spiegare alcuni comportamenti simili, invasivi e dannosi (es. lo stalking, che identifica la sindrome del molestatore assillante, o il bossing, che riguarda il caso in cui il mobber occupi una posizione gerarchicamente dominante rispetto al perseguitato).

Il termine mobbing, quindi, identifica un coacervo di sistematiche azioni persecutorie, spesso lecite, se analizzate singolarmente, che possono avere luogo in un arco di tempo molto lungo, e sono tutte finalizzate al raggiungimento del medesimo obiettivo condiviso, cioè l’isolamento di un determinato soggetto, ben individuato, fino all’espulsione dal contesto umano in cui questo è inserito. Questo fenomeno si realizza alla presenza di un gruppo di cui la vittima è parte (o candidata ad entrarvi) e dal quale riceve, direttamente e/o indirettamente, maltrattamenti di varia origine e natura, non in modo sporadico o saltuario, ma continuativo: si tratta di azioni sempre causate o tollerate da persone poste in posizione di superiorità gerarchica o che la vittima percepisce come poste a tale livello rispetto a lei. Mentre talune condotte aggressive provocano ferite quasi impercettibili a livello inconscio, sebbene siano comunque gravissime, altre causano lacerazioni profonde evidenti, di cui la vittima è ben consapevole. Viene perpetrata, infatti, con tutti i mezzi una vessazione sistematica finalizzata a svilire e distruggere una persona sul piano psicologico, sociale e professionale: pertanto la vittima subisce drammatici danni psicofisici, con sicuri risvolti economici: perde progressivamente la stima e la fiducia in se stessa e negli altri, sia colleghi che familiari; somatizza il proprio malessere con stati depressivi e ansiosi, sviluppando tensioni e nevrosi incontrollate; muta le abitudini, non esce più con gli amici e tende continuamente a isolarsi (anche perché non può più sostenere certe spese); la sua capacità lavorativa crolla e talora si giunge persino al suicidio (una rilevazione sindacale datata 2006 ha evidenziato che in Italia sembra che il mobbing causi il 15% delle morti sul lavoro). Lo stress accumulato sul posto di lavoro ha ripercussioni indubbie nella vita quotidiana, che apparentemente, fuori dal contesto mobbizzante, può scorrere inalterata almeno per un certo periodo, in relazione alle capacità di reazione e finzione (fisiche e psichiche) proprie dell’individuo, ma col passare del tempo, quando l’esperienza diventa pluriennale, è più difficile celare in famiglia la propria tragedia.
Continua nella prossima edizione

Simonetta Delle Donne

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